Un cielo pieno di diyas
di Antonella Gramone
«Anche oggi niente pesca, Nirav. Coi monsoni il mare è ancora più cattivo» dice mio padre. «Meno male che c’è chi viene apposta per l’ayurveda, quando è umido è meglio per le cure, e poi fa il giro delle backwaters».
Papà accompagna i visitatori con la barca a motore lungo i canali che in Kerala si snodano tra paludi e mangrovie. Qualche volta mi porta con lui, perché dice che sono più generosi quando vedono un ragazzino. Col remo aiuto la barca a districarsi tra i rami. Raggiunto l’estuario di Poovar, dove il fiume Neyyar si getta nel Mare Arabico, i turisti fanno il pic-nic sotto gli ombrelloni forniti dagli hotel, mentre io e papà continuiamo a togliere la sabbia dai loro materassini e tovaglie bianche.
Le stelle ho incominciato ad amarle quando a scuola, un giorno che ero riuscito ad andarci, avevano parlato del sistema solare. Quel pianeta… come l’aveva chiamato il maestro, Saturno? Deve essere il pianeta più ricco, con quei cerchi attorno, come anelli d’oro. Il maestro ha detto che proprio qui a Trivandrum, la nostra città, c’è Vikram, il Centro Aerospaziale più grande dell’India. Qui studiano come far arrivare gli uomini del nostro Paese lassù, in mezzo alle stelle e alla Luna.
A fine lezione, ho chiesto al maestro in che zona della città fosse Vikram.
«Guarda che il Centro Aerospaziale lo lasciano visitare solo agli scienziati, Nirav, o alle persone importanti».
Ma io sono testardo. Uno che abita nella mia strada la mattina presto va da quelle parti per fare le consegne. Sono saltato sul suo trabiccolo, tenendomi forte ai bordi quando sussultava per le buche. La guardia all’ingresso appena mi ha visto mi ha scacciato con la mano. Allora ho iniziato a salutare con grandi sorrisi quelli che entravano.
«Good morning, Sir. How are you today, Sir?»
Finché il sorvegliante mi ha dato uno strattone.
«Adesso te ne vai».
In quel momento è arrivato un signore alto, la camicia senza una grinza.
«Che vuole il ragazzino?»
«È da stamattina che importuna tutti, dottor Patel. Gliel’ho ripetuto che non può entrare».
«E perché vuoi entrare?» mi ha chiesto.
«Vorrei vedere Saturno» gli ho detto. «E la Luna».
«Lo sai che per vedere pianeti e asteroidi bisogna usare un telescopio molto potente?»
Ho scosso la testa. Aveva usato parole che non conoscevo.
Il dottore mi ha sorriso.
«Come ti chiami?»
«Nirav, signore».
«Non vai a scuola?»
Ho fatto spallucce.
«Se la mia famiglia non ha bisogno di me».
«Aspettami qua», mi ha detto.
Io stavo sull’attenti, non sapevo come comportarmi.
Mi ha messo in mano un libro.
«Quando hai finito mi racconterai cosa ti è piaciuto di più del cielo».
Per una settimana mi sono alzato prima di chiunque altro della mia famiglia; appena un filo di luce mi permetteva di leggere, con i polpastrelli sfioravo quelle pagine lisce come il dorso del pesce appena pescato. Poi sono tornato a Vikram.
«Ancora qui?» il sorvegliante ha fatto una smorfia.
«Devo restituire al dottor Patel il suo libro».
La guardia ha alzato le spalle.
«Non so a che ora arriva».
Mi sono accoccolato per terra, il libro delle stelle stretto al petto come uno scudo.
Il sole era già alto quando il dottore è sceso dall’auto.
«Ho letto tutto il libro. Il cielo è bellissimo, Sir» gli ho detto.
L’uomo ha sorriso. Mi ha portato nel suo ufficio, grande come il Palazzo Reale di Travancore. Mi ha mostrato un puntino luminoso che si muoveva sullo schermo.
«È un asteroide, passerà sopra di noi, una scia di luce».
«Una luce come quelle di Diwali, dottor Patel? A casa accendiamo sempre le diyas di terracotta, per la festa».
«Le stelle sono diyas speciali, Nirav, si accendono da sole».