2° classificato 2022 – Al mondo di Alessandro Pierfederici

Al mondo

di Alessandro Pierfederici

Kisa si chiamava. “Corto”, in turco. Ma, del marinaio di carta, aveva ben poco. Basso e tarchiato, era un uomo fatto di vino e sigarette economiche che nascondeva sotto il cappello alla Gavroche di lana sbiadita. Come nei giorni precedenti, eravamo gli unici clienti seduti ai tavolini del piccolo ristorante a ridosso del porticciolo di pescatori. Oltre la spiaggia di ciottoli che si stendeva a pochi passi da noi, il meltemi si divertiva a stuzzicare le onde che rispondevano alle provocazioni con nervosi sbuffi di spuma bianca. 

Avevo conosciuto Kisa proprio qui, per caso, e pranzare allo stesso tavolo era diventata presto un’abitudine. Imparando a intrecciare i fili spezzati del mio greco incerto e quelli del suo inglese malfermo, avevo capito che era stato un pescatore in gioventù e molte altre cose dopo. Ora si lamentava di essere solo un vecchio che guardava il cielo con occhi pieni di ricordi. 

Portai alle labbra il bicchierino colmo di caffè. L’aroma di bruciato mi riempì le narici, scacciando per un istante l’odore di salsedine. 

“Sai, una volta ho viaggiato. Sono andato lontano,” disse Kisa senza preavviso. 

Sorpreso, feci la più banale delle domande: “dove?” 

“Là,” rispose, puntando un dito tozzo verso la striscia blu cobalto dell’orizzonte. Istintivamente guardai il punto che stava indicando, come se il mare stesse per svelare uno dei suoi segreti. “Sono andato a cercare il mondo, che qui sembrava non arrivare mai.” 

“E l’hai trovato?” 

Kisa accese una delle sue sigarette gualcite e, tenendola tra l’indice e il medio, aspirò un po’ di fumo. “Non saprei. Sono tornato subito indietro.” 

“Perché?” 

“Ero giovane, ma ho capito che quello che stavo cercando era troppo complicato per uno come me,” rispose scuotendo la testa. 

Guardai il profilo di Kisa e provai affetto per quel volto coriaceo su cui il tempo aveva lasciato segni profondi. E provai vergona. Io venivo da oltre quell’orizzonte, ero figlio di quella complessità che lo aveva spaventato e di cui probabilmente ero corresponsabile. Pensai all’umanità sempre più chiusa in sé stessa, ossessionata da norme, notiziari ed etichette che diventavano più veri dell’esperienza e alla costante sensazione che non ci fosse più bisogno di andare da nessuna parte. Allora compresi. Credevo di essere venuto in Grecia per ripercorrere le orme di Henry Miller, ora mi accorgevo di essere qui perché avevo paura che non ci fosse davvero più nulla da scoprire, che il mondo fosse oramai ovunque lo stesso. 

Kisa emise un piccolo grugnito, quindi gettò la sigaretta a terra e la schiacciò con un piede. “Che pensieri sciocchi,” disse sorridendo, “non fanno bene al cuore.” 

Sorrisi di rimando e annuii. 

Il vento ora ci scompigliava i capelli e faceva frusciare le tovaglie di carta. Le poche barche colorate dei pescatori scricchiolavano placide al riparo dalle crescenti bizze del Mediterraneo. Kisa fece un cenno alla cameriera che stava apparecchiando un tavolo poco distante. La ragazza trotterellò all’interno del basso edificio di cemento del ristorante e tornò con una bottiglia di ouzo. 

“Ci vuole un brindisi,” disse Kisa, mentre versava il liquido lattiginoso. “Al mondo,” aggiunse con una risata sollevando il bicchiere, “sperando che si dimentichi di questo posto e di questo vecchio.”

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