La grande muraglia
di Flaviano Bianchini
Mi faccio largo tra gli ultimi fitti arbusti spinosi.
Un ammasso di mattoni consunti si apre davanti a me.
Ho le braccia graffiate e sanguinanti dall’attraversamento della boscaglia, il fiato corto e il cuore che mi pulsa nelle tempie.
Cerco un passaggio da equilibrista tra mattoni crollati ed erbacce che, da più di mille anni, tentano di riprendersi questo luogo.
Mi arrampico su dei detriti millenari un po’ pericolanti e poi, in un attimo, come
d’incanto, sono su.
Eccomi. Ci sono. Sono qui. Sulla grande muraglia cinese.
È il mio quarto tentativo.
Sono stato ricacciato indietro già tre volte.
Dieci milioni di turisti all’anno visitano la grande muraglia, ma la Repubblica popolare cinese li convoglia tutti nei due-tre settori turistici appositamente ristrutturati.
Il resto della muraglia è off-limits.
La polizia locale presidia ogni possibile accesso e ricaccia indietro quei pochi temerari che cercano di uscire dai percorsi precostruiti dove vedi solo ciò che vogliono che tu veda.
Nei primi due tentativi me la sono cavata con qualche rimprovero in mandarino, nell’ultimo tentativo me la sono dovuta vedere con dei solerti funzionari e tanto di multa.
Ma io non sono qui per delle attrazioni turistiche, sono qui per visitare il cuore della
muraglia e riprovo, questa volta con una lunga deviazione attraverso una boscaglia spinosa che mi ha consentito di evitare tutti i controlli.
Più di duemila anni fa gli imperatori della dinastia Qin iniziarono la costruzione di questa imponente opera che, ancora oggi, rimane la più grande costruzione mai eretta
dall’essere umano.
Una struttura che, nel suo insieme, è lunga oltre 20.000 km.
E tutto con un solo fine: tenere lontane dall’impero le popolazioni nomadi.
Quella lunga striscia di detriti e torrette che ora scorre sotto i miei piedi stanchi non è altro che il primo tentativo dell’umanità di dividere il mondo in due.
Di qua i gli stanziali, inventori delle città e delle fortificazioni.
Di là i nomadi, alla continua ricerca di nuove terre e nuovi spazi.
La grande muraglia non è altro che il simbolo rimasto del primo grande conflitto dell’umanità.
Nella Bibbia, la prima divisione è tra uomini e donne, Adamo ed Eva.
Ma poi ci sono i loro figli e questi vengono divisi in Caino: l’agricoltore stanziale accumulatore di beni, e Abele: il nomade pastore, il vagabondo.
La grande muraglia divide questi due mondi in maniera fisica e simbolica:
a sud la civiltà cinese, stanziale, agricola,
strutturata e burocratica;
a nord i mongoli: nomadi, pastori, ribelli ed anarchici.
E ancora oggi divide in due la Cina del terzo millennio.
Mentre mi avvio verso ovest alla mia sinistra posso scorgere le vaste pianure un tempo
fonte di sorgo e miglio e oggi costellate da grandi complessi industriali le cui nuvole di fumo nero affrescano il cielo del tardo pomeriggio.
Alla mia destra delle vaste steppe montuose, inospitali e aride, dove ancora oggi, nella Cina del boom economico sfrenato, vivono popolazioni nomadi non dissimili da
quelle per cui fu costruita la muraglia duemila anni fa.
Raggiungo l’ennesima torretta di avvistamento sul calare della notte e mi accingo a preparare il mio giaciglio.
Da qui, con la nitidezza del crepuscolo, posso scorgere decine e decine di chilometri di muraglia di fronte a me.
Il cammino che mi aspetta in molti tratti è poco più di un rudere ma è comunque una via interamente visibile, nitida e percorribile.
Una via che si apre davanti a me per migliaia di chilometri dividendo il mondo moderno, industrializzato e consumista, da alcuni dagli ultimi superstiti de “l’alternativa nomade”.