Un attimo – 2° Classificato 2004

Un attimo – 2° Classificato 2004

di Chiara Sassoli

Si dirige verso di me un vecchio, trascinando con sé pezzi di legno e oggetti vari un po’ scassati. Un vecchio che stranamente sembra volermi dire qualcosa con la sua carriola piena di pezzi di vita da ricostruire.

Ognuno segue il proprio cammino, eppure a volte ci si incrocia e si cerca nell’altro una ragione, un’ utilità alla nostra presenza in quel momento, in quel luogo.

Perché mi faccio queste riflessioni proprio adesso, guardando un uomo grigio dalla testa ai piedi venirmi incontro ? Sarà che a volte alcuni incontri che sembrano banali possono significare qualcosa per noi, quando si ha più tempo e voglia di lasciarsi coinvolgere. Mi accorgo che questo tipo di incontri mi capitano solo quando viaggio. Come se la mia mente cambiasse scompartimento e prendesse il tempo di fermarsi in una stazione, staccata dal resto del vagone, dal treno che corre per seguire il ritmo imposto dagli orari.

Adesso l’uomo si è avvicinato e mi guarda negli occhi, un po’ perso, come se scoprisse all’improvviso un nuovo paesaggio. Anch’io lo guardo e sono i suoi tratti forti, le sue rughe testimoni di un’esistenza vissuta che mi affascinano.

Sembrano strade scolpite sulla sua pelle, alcune sono grandi e lunghe, altre più piccole, quasi nascoste. Comincio a seguirne una che parte dal suo occhio destro e pian piano dimentico che lo sto fissando, continuo ad immegermi in questa sua ruga che si fa sempre più grande ai miei occhi.

Mi trasporta, i pensieri corrono veloci e ricordo un viaggio in autobus per le strade tortuose delle Ande, passando dal Perù all’Ecuador. Ad ogni curva mi sembra che l’autobus stia per precipitare e invece riesce sempre per un pelo a seguire la sua strada.

Una strada segnata da tanti passi, passati, migliaia di « indios » andati e venuti su queste terre, migliaia di storie, di lotte vinte e perse per conservare una dignità innata e troppe volte rubata. Avanzo con un gruppo di loro, in silenzio. L’autobus ormai è lontano, sono scesa per sentirmi più vicina a loro, a una storia che ho forse letto ma non capito perché non vissuta. Sento che il vento mi scompiglia i capelli : non è un vento leggero, anzi soffia forte e porta con sé un grido, un appello.

Guardo l’uomo che cammina davanti a me, è curvato su una piccola canna di legno sulla quale si appoggia troppo, sicuramente non reggerà per molto ancora il suo peso, anche se di peso ce n’è ben poco. Già immagino il legno spezzarsi in due e il vecchietto a terra. Senza accorgermene gli propongo di prendere il mio braccio e di lasciarsi andare, di riposarsi un po’ su di me.

Vorrei poterlo aiutare, lui e suoi, dandogli anche solo per un attimo la scelta di non stancarsi, di non camminare per dovere, ma piuttosto spinto dalla voglia di viaggiare, come me. Si può viaggiare in mille modi, con la mente, la musica, con i libri, ma dopo aver sperimentato il viaggio mobile, da un paese all’altro, incontrando altre facce, altre voci, altri idiomi, mi rendo conto che mettendosi in moto, si cambia senz’altro angolo e visione.

Ed è forse ciò che molti viaggiatori vanno cercando : l’essere spaesati. Poter staccarsi in poco tempo dalla vita quotidiana e lasciarsi prendere da altre realtà. Ma, quando sento questo vecchietto appoggiare la sua stanchezza su di me, non posso evitare di pensare che lui, che ha almeno tre volte la mia età, forse non ha mai viaggiato, non ha avuto tempo e occasione di farlo come lo intendo io. Si è spostato tutta la vita, ha scoperto montagne, rifugi, grandi pianure, ma non con lo spirito del viaggiatore, ma del fuggitivo o dell’ oppresso.

Eppure lui riesce a farmi viaggiare, a farmi ricordare tante strade percorse, tante storie vissute, tanti incontri passati. La sua unica presenza è un viaggio in sé, un viaggio tortuoso, pieno, ricco di ricordi e speranze.

Il vento soffia sempre di più, sento il pugno del vecchio stringermi forte e sento la forza che emana dal suo corpicino magro e stremato. Mentre lo guardo negli occhi per ringraziarlo, mi accorgo che anche lui mi guarda, un po’ perso, come se gli ricordassi un paesaggio, un attimo.

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