AGOSTO 2000: EDINBURGH, THE MILITARY TATTOO! -3° Classificato 2001
di Carla Oggioni
È bastato andare in Scozia una volta sola perché mia figlia sviluppasse un’autentica passione per quel bellissimo paese.
Non se se quel viaggio le ha cambiato la vita, ma al ritorno si è comprata un kilt e ha iniziato ad ascoltare in continuazione cassette in cui lamentose cornamuse la fanno da padrone. A volte anche nel sonno ci è capitato di sentirla mugolare la parola Scozia: chissà se sognava infinite brughiere coperte di erica rosa oppure interi plotoni di highlanders che marciavano al suono di bande militari?
Dopo quella volta ci siamo tornati spesso e anche quest’anno abbiamo deciso di andarci con il pretesto di assistere al Military Tattoo di Edimburgo.
Partiamo da Malpensa e un’ora dopo dal finestrino dell’aereo scorgo le scogliere di Dover: forse in un’altra vita devo averle già viste perché ogni volta che guardo queste imponenti dame bianche mi sorprende una gioia mai incontrata prima. Ma non tutto nei viaggi fila per il verso giusto: appena scesi a Londra cominciano i guai.
Heathrow è davvero immenso e finiamo per perderci in un labirinto di percorsi: torniamo indietro almeno due volte, saliamo, scendiamo, seguiamo le frecce. Dopo una buona mezzora arriviamo al gate giusto, però…MAMMA, ABBIAMO PERSO L’AEREO!
Per fortuna ci sono le liste d’attesa e il santo protettore dei viaggiatori in ritardo come noi ci fa trovare tre posti liberi sull’aereo successivo.
Una volta atterrati a Edinburgo un taxi ci porta al nostro albergo, che pullula già di autentici highlanders in gonnellino venuti per il festival. Mia figlia è elettrizzata: comincio a convincermi che non fossero le brughiere di erica rosa a popolare i suoi sogni!
Dormiamo come ghiri e dopo un fantastico breakfast decidiamo di farci un giro lungo il Royal Mile, fino alla reggia che fu di Maria Stuarda.
HELP! All’improvviso ci sorprende un tremendo acquazzone. Non possiamo fare altro che rifugiarci in un negozio dove una soave vecchietta ci rifornisce di ombrellini pieghevoli, tre impermeabili di nylon gialli con su stampati cardi blu (simbolo della Scozia) e rarissime galosce.
Non appena abbiamo terminato la trasformazione da semplici turisti in autentici scozzesi avezzi ad ogni bufera, il sole torna a far capolino tra le nuvole, ridendo con i suoi raggi delle nostre bardature da lupi di mare!
È pomeriggio ormai e decidiamo di prendere un taxi, che ci porta alla spianata del Castello, dove avrà luogo lo spettacolo che da tanti mesi abbiamo cercato di immaginarci leggendo le guide. Il termine “tattoo” deriva dall’imperativo che veniva urlato dal sergente rivolto ai suoi soldati, che uscivano dal castello per ubriacarsi e gozzovigliare nei pubs cittadini. “Taps too!”, “chiudete i rubinetti” (della birra)” esclamava, sapendo già che, nonostante i suoi inviti, la bionda più amata del mondo sarebbero scorsa a fiumi.
Questo monito non funzionava allora e non funziona nemmeno adesso: non appena scendiamo dal taxi il cielo decide all’improvviso di spalancare i suoi rubinetti e di farci scendere addosso ondate scroscianti di pioggia!
In fretta e furia ci infiliamo gli impermeabili gialli e apriamo gli ombrellini. Piove a dirotto e la strada in salita si è trasformata in un mezzo torrente ma mia figlia procede imperterrita, affascinata da tutto quello che vede, quasi l’acquazzone che ci sta inzuppando non la riguardasse. Non provo nemmeno a tentare di convincerla a tornare in albergo, tanto conosco già quale sarebbe la sua risposta: “MAMMA, SIAMO IN SCOZIA! IL TATTOO NON VIENE SOSPESO MAI, IN NESSUN CASO!”
Quando arriviamo al nostro settore veniamo accolti da un simpaticissimo scozzese, ridanciano e scherzoso al quale rivolgo il tradizionale “lovely weather, isn’t it?” (tempo splendido, vero?) e lui “Perfetto per un vero Tatoo, madame!” La malinconia e la tristezza sembrano proprio scomparse in questo paese!
Sarà l’effetto del suono trionfante e suggestivo della prima cornamusa che si spande nell’aria, o sarà quell’aria trasognata che vedo per la prima volta sul viso di mia figlia, ma ad un certo punto accade il miracolo: la pioggia smette di cadere! Ci dimentichiamo di tutto nel momento stesso in cui dall’enorme porta del castello esce una marea di kilt, berretti, ghette bianche e sporran ondeggianti ( là dove la cosa si fa veramente interessante, recita uno slogan malizioso!).
Sono DUE ORE, DUE, di perfetto godimento! Gli highlanders, le guardie della regina, le giubbe rosse canadesi, la polizia australiana, gli aborigeni australiani, maori e zulu, le allegre bands di Trinidad e Tobago, la suggestiva canzone “Notti di Londra” cantata da una splendida ragazza vestita d’argento. Poi d’un tratto, sublime nel silenzio perfetto, arriva lei, la “lonely pipe” la cornamusa solitaria, che suona apparendo sugli spalti del castello!
Mi corrono i brividi giù per la schiena, ma non è la melodia a provocarmeli: mia figlia è completamente rapita e i suoi occhi lanciano lampi di felicità. Per me, abituata alle sue crisi epilettiche e a vedere il suo sguardo annebbiato ed assente dopo che è stata sedata con il valium, questa è l’emozione più grande. Mai avrei pensato che viaggiare potesse essere una cura per l’animo umano più potente delle medicine.
Si avvicina la fine e tutto il pubblico si tiene per mano e ondeggiando canta “Auld Lang Syne”. Prendo la mano di mia figlia e per un attimo ci abbracciamo commosse, incapaci di credere che anche per noi due possa esistere una felicità così assoluta. “Per i trascorsi, cari giorni, My dear; vuoteremo una coppa di gentilezza e i vecchi amici non saranno dimenticati”.
Quante volte lo abbiamo visto e sentito in un film o alla televisione? La canzone scozzese più diffusa nel mondo…
Il cielo si è fatto scuro oramai: dagli spalti partono le salve di cannone e poi, alte e crepitanti, le luci, le fontane, colorate dei fuochi d’artificio. Ci spelliamo le mani, gridiamo: <<Bravi, bravi >>.
Lo spettacolo è finito. NE E’ VALSA LA PENA. Non credo che assisteremo mai più a qualcosa di così entusiasmante nel resto della nostra vita!
Prima di ripartire ci compriamo la videocassetta del festival e a casa rinnoviamo il piacere di assistere allo spettacolo. Tutto uguale, perfetto. C’è una sola cosa che ci manca, indovinate quale…Ma la pioggia, no?