Direzione sud
di Michele Presutto
Pensava di conoscere il Sud, ma strada facendo, dal finestrino del treno vedeva paesaggi e immagini che non appartenevano al baule della sua memoria. Era passato molto tempo dal suo ultimo viaggio verso sud, ma quello non era un viaggio qualsiasi, non era solo uno “spostarsi” fisicamente nello spazio, era qualcosa di più. Ancora non riusciva a capire cosa ma percepiva chiaramente che quel viaggio rappresentava qualcosa di diverso, come un punto di arrivo di un percorso iniziato molto tempo prima.
Antonio vivev, ormai da tempo, in una grande città, dove la gente sembra aver perso il
gusto delle cose fatte con l’abbondanza e lo spreco del tempo. Ci era arrivato anni prima e ricordava, con un velo di violenta nostalgia il tempo in cui era ancora possibile attraversare la città in bicicletta. Molto tempo era passato ma lui era, o almeno pensava di esserlo, rimasto sempre lo stesso.
Quel giorno, aveva deciso di prendere il treno senza una meta precisa, come gli era sempre piaciuto fare. Si era svegliato la mattina e si era sussurrato “vado in stazione e prendo il primo treno che parte in direzione sud”. Non era il tipo cui piacevano le awenture geografiche, e meno che mai le avventure con i treni italiani, non si muoveva mai senza un punto preciso di partenza e uno, ancora più preciso, d’arrivo. Ma, quel giorno, decise così. Era arrivato a quella decisione senza particolari traversie, a parte la moglie, che lo aveva lasciato per andare a vivere con un certo “Bobby”, o “Dolly”o qualcosa del genere e al suo lavoro, dove dopo otto anni di dedizione totale,
era giunta una lettera dalla direzione in cui si ingraziava dell’impegno profuso e
contemporaneamente si avvisava, con molta cortesia, della cessazione del rapporto di lavoro.
“Dove è diretto?”, le chiese la signora più o meno distinta che sedeva di fronte nello
scompartimento ferroviario, “torno a sud”, rispose Antonio con voce di chi è sicuro di quello che dice. Mentre diceva ciò, in un attimo pensava alle sue parole e al fatto che istintivamente aveva usato il verbo ‘tornare’. Chissà perché, si chiedeva, il sud è un posto dove non si va, sl torna.
È sempre un ritorno, come in ogni viaggio che si rispetti, dove c’è sempre un ritorno. Pensava che un viaggio senza ritorno non poteva essere ‘catalogato’ come tale. Se non c’è ritorno con c’è viaggio, è una questione di cerchi, di circolarità.
Pensava. Aveva passato anni a convincere se stesso e soprattutto gli altri delle ‘bellezze’ della sua terra, aveva lavorato notti intere per creare il suo mito,e come ogni mito, presupponeva una forte dose di capacità onirica e di follia immaginativa allo stato puro, ma poi si era convinto che forse tutta questa operazione mentale era troppo impegnativa, anche per un tipo come lui, e poi non ne vedeva lo scopo, “per quale motivo convincere gente che non parla la tua lingua”, si ripeteva tra se e se, e mente tutto ciò si mischiava alle immagini che filtravano dal finestrino, una domanda, giunse come una freccia, come un lampo a squarciare il cielo dei suoi pensieri: “com’è il suo paese?” Antonio spostò lentamente gli occhi dalle colline in movimento verso occhi della sua compagna di viaggio e calibrando il movimento delle sue labbra
disse: “le strade sono sporche, noi non ci laviamo, si rubano molte macchine e si spaccia”, la donna, la cui domanda nasceva comunque da una ingenua quanto antica curiosità, cominciò a scrutarlo con aria diffidente e sbalordita, “è un brutto posto, è meglio non andarci, la gente è alquanto incivile”. Aggiunse. Mentre diceva tutto ciò e mentre gli sguardi dei due viaggiatori cominciavano uno strano quanto inusitato duello ottico, gli veniva in mente una frase che aveva letto chissà dove che diceva più o meno cosi:
“La colpa delle province più civili che, a tutta possa non aiutano le meno civili, è uguale a
quella delle classi più colte ed agiate che, in una medesima società, abbandonano a se stesse le più ignoranti e derelitte. Dopo l’unità e la libertà d’Italia, non avete più scampo: o voi riuscite a rendere noi civili, o noi riusciremo a rendere barbari voi”.
Mentre tutto ciò accadeva negli angoli più nascosti della sua mente, la donna sembrava aver perso la curiosità o semplicemente la voglia di rendere meno solitario quel viaggio e con aria contrariata, rivolse la traiettoria del suo sguardo al di là del vetro. Antonio continuò a guardarla, poi si accorse che il treno stava rallentando e con un tono di altri tempi disse: “io sono arrivato, la prossima stazione è la mia, devo cambiare treno. Le auguro che il suo viaggio prosegua senza inconvenienti”.
Uscì dallo scompartimento, prese il corridoio e si avvicinò all’uscita. Il treno era come
indeciso se rallentare per fermarsi o rallentare per far finta di fermarsi. In quel frangente una frase gli rimbombava ripetutamente come un’eco “o voi riuscite a rendere noi civili, o noi riusciremo a rendere barbari voi”….. poi sorrise, con un sorriso appagante, si guardo attorno e disse a voce bassa “nonostante tutto, non ci siete riusciti”.
Si voltò e scese dal treno.
Ogni ritorno coincide con una partenza…e quando si scende da un treno difficilmente si ricorda il perché ci siamo saliti…ci sono viaggi che vanno affrontati e basta…il sud è il cuore della terra…difficile da gestire ma vitale!Una storia che apre tante finestre…