Premio Chatwin

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Vincitori Sezione Fotografia

1° classificato – Yemen di Alberto Bortoluzzi

Per averci raccontato lo Yemen, attraverso immagini in cui cielo, terra, architetture, incarnati, perfino la polvere, hanno una luce e una matericità che rendono la fotografia senza tempo, senza scadenze dettate dalle mode digitali del momento.
Bruce Chatwin avrebbe sicuramente apprezzato il linguaggio e lo stile di Alberto Bortoluzzi.

2° classificato – La zona, Un viaggio postatomico di Pierpaolo Mittica

C’è una nuova attività di tendenza tra i giovani ucraini: alcuni di loro, infatti, hanno recentemente iniziato a entrare illegalmente nella Zona di Esclusione di Chernobyl – al centro della quale si trova il famigerato Reattore 4 che esplose nel 1986, rendendo l’area una delle più contaminate di tutto il mondo – per giocare a giochi di sopravvivenza.

3° classificato ex aequo – Ancora in cammino-Afghanistan, guerra e siccità sul cammino dei nomadi di Bruno Zanzottera

All’inizio di questo secolo il numero di abitanti che vivono in zone urbane della terra
ha superato il numero di coloro che abitano nelle regioni rurali.
Sebbene questa tendenza sembri inarrestabile,
ci sono popolazioni che continuano a vivere caparbiamente in territori molto difficili,
dove tuttavia si sono creati delicati equilibri di convivenza tra l’uomo e la natura.

Equilibri estremamente fragili, che significano innanzitutto scarsa disponibilità di cibo e acqua,
beni primari, essenziali, preziosi.

3° classificato ex aequo Suspension di Stefano Morelli
Questi ragazzi sono per lo più trentenni (o anche più giovani) e rappresentano la generazione post Chernobyl.
Sono chiamati “Stalker”, un nome che deriva direttamente dal film “Stalker” di Andrei Tarkovski, un cult movie sovietico del 1979, e da un videogioco survival-horror uscito nel 2007 e ambientato proprio nella Zona, intitolato S.T.A.L.K.E.R.

Gli Stalker di “Chernobyl” hanno ultimamente sviluppato una vera e propria venerazione per questa zona specifica, che considerano come una casa privata post-atomica.

Sembrano essere organizzati in gruppi paramilitari con nomi, simboli e rituali, mentre si godono un viaggio pericoloso per raggiungere la loro destinazione finale: la città fantasma di Pripyat.

Per arrivarci devono percorrere circa 60 chilometri attraverso i boschi – per lo più di notte per evitare il pattugliamento della polizia – tra radiazioni nucleari e animali selvatici.

Durante il viaggio dormonosolitamente in villaggi abbandonati, mangiano cibo in scatola e bevono l’acqua che trovano lungo il percorso, sporca e contaminata.

Dicono di voler vivere un’avventura diversa, di volersi mettere alla prova e di sentirsi gli ultimi sopravvissuti sul pianeta, proprio come in un vero videogioco; vogliono liberarsi dalla routine e dalla vita normale, divertendosi e restando isolati in un limbo senza regole per un po’.

Sono una sorta di viaggiatori post-romantici, innamorati di questi luoghi che considerano quasi sacri e con una storia tragica da non dimenticare.

Nell’ultimo anno, alcuni Stalker hanno iniziato a organizzare tour illegali anche per i turisti, un’attività sempre più popolare a Chernobyl.

Possono essere contattati tramite Facebook o altri
social media: si occuperanno di tutto sul campo, come soluzioni di viaggio, pasti al sacco, attrezzatura da campeggio e tutto ciò che ritengono necessario per vivere nella Zona di esclusione al di fuori dei sentieri turistici battuti per alcuni giorni.

È la nuova frontiera della sopravvivenza: il trekking radioattivo.

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Il nomadismo rappresenta l’alba dell’uomo e buona parte della sua evoluzione.
Se ci fermiamo a riflettere, nella storia dell’umanità le cose sono cambiate solo piuttosto recentemente.

Scrive Jared Diamond ‘Le società tradizionali rappresentano migliaia di esperimenti millenari nel campo dell’organizzazione umana, esperimenti che non possiamo ripetere riprogettando di sana pianta intere società, per poi osservarne i risultati dopo decenni:

se vogliamo imparare qualcosa, dobbiamo farlo là dove questi esperimenti sono già stati compiuti’.

Non si tratta quindi di idealizzare stili di
vita come il nomadismo, ma di provare a capire se alcune delle soluzioni che queste popolazioni hanno messo in atto per sopravvivere, non possano rivelarsi utili per la risoluzione di alcuni dei problemi di una società moderna.

Con questo progetto ci prefiggiamo di andare alla ricerca delle ultime popolazioni nomadi del pianeta, vivere dei periodi assieme a loro per riscoprire le nostre origini ed una cultura che ha fatto dell’adattamento al territorio, senza modificarne le caratteristiche, la propria filosofia di vita in contrasto con la società sedentaria.

Il nostro lavoro non vuole essere un tentativo di riproporre il passato ed uno stile di vita congelato nel tempo, ma uno studio di come queste popolazioni riescano ad adattarsi ai cambiamenti – sociali, climatici, strutturali – sempre più
veloci che stanno avvenendo sul pianeta terra.

Dopo aver realizzato due reportage tra il 2017 ed il 2021, in India seguendo per due mesi delle famiglie di nomadi Rabari del Gujarat e in Italia per un anno al seguito di una giovane coppia di pastori veneti con un bimbo di pochi mesi
che vivono in una roulotte spostandosi quotidianamente, il nostro progetto per il 2022/2023 si è spostato in Afghanistan dove abbiamo passato il mese di luglio visitando svariati accampamenti di nomadi Kuchi (termine politico che
raggruppa al suo interno 25 diversi gruppi tribali di pastori nomadi).

A differenza di altre popolazioni di pastori nomadi dediti a brevi spostamenti quasi giornalieri, i Kuchi si spostano per lunghe migrazioni in primavera ed autunno, mentre per il resto dell’anno rimangono in accampamenti semi stabili spostando esclusivamente le greggi nei pascoli circostanti.

Negli incontri e nelle varie interviste fatte finora, ne è uscito un quadro quanto mai complicato perché la guerra, con la conseguente mancanza di sicurezza, limitava gli spostamenti creando grossi problemi per trovare i pascoli.

Molte famiglie sono state costrette a vendere i propri cammelli, che venivano utilizzati per il trasporto di tende e vettovaglie.

Anche molte greggi si sono notevolmente ridotte, rischiando di non essere più sufficienti al mantenimento di tutta la famiglia.

In questi ultimi anni si è inoltre aggiunta una devastante siccità che sta impattando sullo stile di vita dei nomadi in maniera forse ancor più catastrofica della guerra.

Le tribù che passavano l’intera estate sui monti, quest’anno
hanno anticipato la loro discesa già nella prima metà di Agosto a causa dell’esaurimento dei pascoli.

Molte famiglie si sono così trovate nella condizione di dover acquistare del foraggio per poter alimentare le proprie greggi.
La stessa cosa è avvenuta per l’acqua con le famiglie, almeno quelle che potevano permetterselo, costrette ad acquistare l’acqua dalle autobotti, creando dei piccoli invasi artificiali dove conservarla.

Nonostante tutti questi problemi, la maggior parte delle famiglie incontrate non hanno nessuna intenzione di cambiare il proprio stile di vita e stanno cercando in tutti i modi di resistere ai cambiamenti, con la loro innata capacità di adattarsi alle mutazioni.

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