Vecchie Abitudini

Vecchie Abitudini

 

di Michele Crescenzo

 

Sono abitudinario, inutile negarlo. Mi sveglio alle 6.50 ed alle 7.15 mi faccio la barba, la faccio tutti i giorni tranne il venerdì, il venerdì mi piace aver un aspetto un po’ trasandato. La consuetudine mi dà sicurezza, è l’unico sistema che conosco per non impazzire.

 

Sono abitudinario ed ogni sabato indosso la giacca sportiva e vado a pranzo da mia figlia portando sempre dei giocattoli nuovi per i bimbi; spesso durante la giornata m’improvviso baby-sitter mentre mia figlia e suo marito sono fuori casa.

 

Tutte le domeniche indosso, invece, la giacca grigia classica e vado a messa; ormai non mi domando più se credo ad un dio, in chiesa ci vado per ringraziare, per ringraziare di esserci ancora, per mia figlia e per i miei nipoti, per queste ginocchia che ancora mi sorreggono.

 

Sono abitudinario e amo il lunedì, quando, indossando la mia giacca azzurra, intavolo infiniti dibattiti al bar dove tutti si riscoprono imbattibili allenatori.
Purtroppo il martedì è la giornata dei controlli, così indossando la giacca scura e una smorfia di fastidio, vado, speranzoso, all’’ospedale.

 

Tutti i mercoledì indosso la giacca a righe e vado al mercato dove mi confondo tra odori e urla, verdure e detersivi, faccio spesa e do qualche euro a qualche ragazzone che me la porta a casa.

Il giovedì, invece, passo ore al cimitero, con cura lascio fiori sulla tomba di mia moglie, le regalo un sorriso e le dico “tranquilla, ci vedremo presto”.

 

Sono abitudinario e tutti i venerdì pomeriggio indosso dei vecchi abiti, lascio le giacche nell’armadio e vado in aeroporto. Con attenzione meticolosa cerco un posto sempre nuovo, dove mi siedo ed ascolto lingue diverse che si perdono in questo bivio; un accento portoghese mi riporta al riso e fagioli brasiliano o alle 365 ricette di baccalà assaggiati a Lisbona, visi mulatti mi riportano in Marocco dove, senza ombra di dubbio, superai il record mondiale di diarrea galoppante! Un volto asiatico mi ricorda il mio primo viaggio di lavoro in Giappone, dove parlai ad un seminario per ore per scoprir solo dopo che nessuno di loro capiva l’inglese. Capelli biondi ed occhi nordici mi ricordano il Polo Nord dove io e mia moglie guardavamo soddisfatti le nostre giovani fedi sul tetto del mondo.

Un accento americano mi riporta a New York, dove nel 1977, affittai un camper e, con moglie e figlia, facemmo un coast to coast cavalcando l’idea di un easy rider versione family. Di quel viaggio non dimenticherò mai lo sguardo di mia figlia davanti alle cascate del Niagara quando, tra paura e meraviglia, cercò e strinse forte la mia mano.
In quest’incrocio di suoni ed odori mia moglie torna a sorridermi, mia figlia torna piccina e bisognosa di me.

 

Sono abitudinario e vado via dall’aeroporto solo nel momento esatto in cui inizio a rimescolare presente e passato, nel momento esatto in cui lo sguardo inizia a confondersi, nel momento esatto in cui i miei occhi diventano troppo umidi, traboccanti di ricordi.