La camera 14 – 3° Classificato 2004

La camera 14 – 3° Classificato 2004

di Alessandro Bagno

Che cos’è questa strana pazzia, chiese Petrarca al suo giovane segretario, questa smania di dormire ogni notte in un letto diverso…

Bruce Chatwin – Le Vie dei Canti

Lo specchio della camera numero 14

Quella sera allo specchio non mi riconobbi. Quella sera allo specchio incontrai uno sconosciuto. A voi non è mai successo? Dura solo un istante ma è una sensazione molto intensa, all’inizio si stenta a capire cosa ci sia di strano ma un brivido corre lungo la schiena quando improvvisamente si prende coscienza dell’Altro che si ha di fronte e che ci guarda.

Molti anni prima lui si era visto sicuramente in quello stesso specchio scrostato. Nello specchio si rifletteva anche l’enorme bagno, una trentina di metri quadrati almeno, con la doccia a vista e una finestrina che incorniciava il buio della notte, un’oscurità densa, quasi palpabile.

Questo era il mio terzo viaggio in India e non ero capitato in quel paesino del Rajasthan per caso, la mia meta era il Rohet Garh, residenza fortificata del XVI secolo appartenuta al Maharaja Thakur Daipat Singh I e ora trasformata in uno splendido albergo. Ma questo non mi bastava, io cercavo un numero d’oro su una targhetta di legno: la camera numero 14, quella dove Bruce Chatwin aveva scritto “Le Vie dei Canti”.

Poche ore prima una traballante Ambassador mi aveva sbarcato davanti all’imponente ingresso del palazzo sotto la pioggia torrenziale del monsone. L’intera India, diventata liquida, scorreva nella terra impantanata mentre voci senza parole si rincorrevano sotto una veranda. Nel verde abbagliante del giardino alcuni pavoni volavano strillando da un ramo all’altro degli alberi di neem.

Dietro il suo pince-nez il segretario alla reception si stupì della mia richiesta, con il fare cortese tipico degli indiani mi spiegò che la numero 14 non era una buona stanza e che disponevano di sistemazioni più confortevoli.

Quanto a Chatwin non sapeva assolutamente chi fosse ma ricordava che altri avevano chiesto di uno scrittore inglese e mi fece vedere che al registro dell’albergo era stata strappata una pagina…

Poco dopo scaricavo lo zaino proprio oltre quella porta. La camera era una piccola suite composta da tre locali più il bagno: nel primo vi era solo un grande letto e due comodini con minuscole abat-jour.

Un’apertura nel muro portava a un vano adibito a guardaroba e deposito per i bagagli mentre poco più avanti una porta si apriva su una stanzetta dove l’unico mobilio consisteva in uno scrittoio in tek munito di numerosi cassettini e una sedia rivestita di stoffa sdrucita.

Era proprio lì che Chatwin aveva scritto il suo libro? E se invece avesse preferito scrivere a letto o in giardino? Nei cassetti dello scrittoio naturalmente non trovai nulla d’interessante, solo qualche vecchia matita… dov’era finito Chatwin? Possibile che non avesse lasciato nessuna traccia? Uscii dalla camera per sedermi sotto la veranda che dava sul giardino, la luna si era finalmente levata e le gocce di pioggia erano diventate una cortina di piccole meteore luminose.

In quel momento capii che una magia dell’India è stare semplicemente a guardare il monsone. Scoprire che non c’è più il tempo, vedere il mondo svanire nell’acqua mentre dalla terra calda salgono i tuoi sogni…

La mattina seguente tornai in bagno per radermi e dopo aver aperto il rubinetto notai il filo d’acqua nerastra che lentamente riempiva il lavandino. Alzai lo sguardo, ora lo specchio mi rimandava l’immagine di un uomo non più giovane ma non ancora vecchio, la barba lunga e il viso sudato. In quel momento, in quel volto mi riconobbi.

Forse anche lui si era perso in quello stesso specchio e forse anche lui, come me, si era poi ritrovato.

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