La Spiaggia – 1° Classificato 2002
di Isabella Herzleld Cappelli
All’inizio, non mi era sembrata così grande.
Avevamo appena superato un cartello che diceva ATTENZIONE DUNE e subito eravamo arrivate sulla spiaggia. “C’è poca gente – disse mia madre soddisfatta – staremo benissimo”.
Io non vedevo nessuno.
Fuori e dentro la macchina tutto era bollente: bollenti le maniglie, bollenti i sedili, bollente la guarnizione del finestrino che aveva lasciato la sua impronta sul mio braccio appoggiato.
Non c’era un bava d’aria. Il sole era a picco.
Scendendo, avevo sentito il calore della sabbia nera mordermi la suola delle scarpe e istintivamente cercavo di ritirare i piedi… “Su, prendi l’ombrellone – la sua voce mi incitava – voglio sistemarmi prima che arrivino i domenicali”.
Essere un domenicale era per mia madre il massimo dell’insulto: se le spiagge erano sporche, se le strade erano intasate era tutta colpa loro.
E poi, si riconoscevano alla prima occhiata che quelli non erano veri viaggiatori, ma semplici gitanti, con quei canotti già gonfiati legati con l’elastico sul tetto della macchina, i palloni, le canottiere sudate, i bambini urlanti e sciatti.
Mia madre, la ricordo così fresca nel suo abito bianco, aveva già prelevato dal bagagliaio la cesta con gli asciugamani, mentre io ancora sudavo per tirare fuori l’ombrellone, come sempre troppo grande per me.
Chiuse le portiere con la solita cura, chiacchierando, ma sembrava non notare che eravamo sole, del tutto sole: non c’erano altre macchine e la strada era come sparita sotto la sabbia rovente. Improvvisamente non ero affatto sicura di voler rimanere.
“Visto che siamo arrivate da quella parte – indicò una direzione riparandosi dal sole con una mano – il mare deve essere di là, andiamo” e si era incamminata con decisione dalla parte opposta, lungo un piccolo avvallamento tra i cespugli spinosi. “Mamma, aspetta…” la mia voce si perdeva nell’aria cava come trattenuta dalle dune.
Intanto, si era alzato un vento leggero e secco che mi portava, a tratti, l’odore di zolfo e i gridi dei gabbiani.
Pensai che quella doveva essere per forza la direzione giusta. Allora avevo cominciato a camminare a piccoli passi trascinandomi dietro l’enorme ombrellone, scalciando la sabbia tagliente che mi si depositava sulle scarpe.
Mia madre aveva già superato la duna davanti a lei ed era sparita dall’altra parte: per starle dietro io arrancavo in quel mare di sabbia nera, così abbagliante sotto il sole che non potevi guardarlo, in certi punti liscio, in altri arricciato come rughe sulla fronte.
Poi, di colpo in mezzo a quel calore soffocante, mi era venuto in mente il cartello.
Subito non ci avevo fatto caso, diceva ATTENZIONE DUNE, io piuttosto avrei scritto SPIAGGIA DI DUNE oppure più semplicemente DUNE. Ora mi suonava strano, come un avvertimento e mi metteva addosso un certo disagio.
Una bolla di sabbia mi si gonfiò sotto una scarpa, poi esplose in un piccolo cratere eruttando una zaffata pestifera: improvvisamente capii che non ci sarebbero mai stati domenicali sudati, né bambini con i palloni né nessun’altro in quella spiaggia ed ebbi un po’ paura. “Mamma, aspetta…” avevo mollato l’ombrellone e mi ero messa a correre, un po’ scivolando, un po’ inciampando, arrivando alla fine in cima alla duna.
Il vento ora soffiava forte vorticando tra gli avvallamenti e le creste frastagliate e scompigliando le dune.
Davanti a me si stendeva un oceano di sabbia, una spiaggia nera lambita da un mare oleoso che non sembrava un vero mare e dietro ancora dune alte, basse, scoscese, lisce, dune e ancora dune.
La paura mi strinse come una morsa, il sudore e le lacrime mi accecavano, l’odore acre dell’isola mi soffocava: non vedevo più mia madre, né la macchina, né la strada ma solo la spiaggia infinita, luccicante, costellata di piccoli crateri affamati.
Ogni volta che sogno Vulcano, mi sveglio di soprassalto gridando, quegli urli liberatori che ti strappano agli incubi peggiori: sono sempre sudata e spaventata come allora ma a casa, nel mio letto.
Ogni volta che sogno Vulcano mi sembra tutto vero ma poi, ripensandoci, so che non può essere: una spiaggia, si sa, in fondo è solo una spiaggia.
Ogni volta che sogno Vulcano mi sveglio con la gola secca: mi è rimasta la sete, la sete del sogno e il caldo di quel sole senza scampo e l’assedio delle dune, nell’isola dei mille crateri.
E prima di riaddormentarmi, guardo sempre sotto il letto, distrattamente: la sabbia, si sa, s’infila sempre dappertutto.