Senza Peso

Senza Peso

di Michele Lepera

C’è un piccolo villaggio al limite del Circolo Polare, che spunta dalle rocce
a metà del grande Fiordo.

Il viaggiatore che arriva da sud e scivola sull’acqua immobile, vede montagne galleggiare.
Sentendo un leggero e sordo toc appena sotto lo scafo della piccola barca,
potrebbe pensare al dispetto di un pezzo di ghiaccio o a un’idea salita in superficie.

Ma il viaggiatore che giunge per la prima volta a metà del grande Fiordo, non pensa.

E allora, quel leggero e sordo toc, potrebbe essere un sussulto pari a un crampo imprevisto o un battito in controtempo nel petto.

Qualcosa, insomma, che necessiti di assestamento.

All’inizio del villaggio c’è il molo con una scala a pioli che si perde nell’acqua.
Il viaggiatore che si accinge a salire potrebbe pensare al numero dei pioli a cui aggrapparsi o ai pochi minuti di vita che avrebbe a disposizione se cadesse in quell’acqua gelida. Dicono cinque. Ma lo dicono e lo ripetono quando si è soli o male accompagnati.

Ad ogni modo il viaggiatore che si accinge a salire sui pioli della scaletta del molo
del piccolo villaggio al limite del Circolo Polare, non pensa.

C’è silenzio, un silenzio che un silenzio così c’è solo di notte, quando le cose oltre ai colori perdono anche il suono e se i suoni ci sono, sono sempre di cose che non si vedono.

Il viaggiatore che cammina di giorno in un silenzio notturno, fa bisbigliare briciole di roccia ad ogni passo.

Non c’è fruscio dove non ci sono cespugli, rami e foglie; non c’è sfrigolio di neve nell’estate artica. Non c’è nulla e non manca niente.

Le case del piccolo villaggio al limite del Circolo Polare sono appoggiate come giocattoli, precarie alla vista ma non al vento.

Sotto le case, nella ragnatela di travi di legno che le sorreggono, bambini invisibili diventano suoni che pizzicano lo sguardo.

Nel piccolo villaggio al limite del Circolo Polare a volte scende la nebbia e a volte,
insieme alla nebbia, arriva la pioggia.

Con la nebbia e la pioggia s’alza un odore forte, acre, di vento e torba, sangue e terra.
Un odore che impregna e bagna e non si asciuga.

Il viaggiatore che arriva con la nebbia e la pioggia e sente questo odore, non si cura di raggiungere un riparo ma continua a camminare lungo il Fiordo e sa – perché qualcuno
a fianco glielo sta dicendo – che dall’altra sponda inizia l’Inlandis, il deserto bianco largo ottanta giorni.

Il viaggiatore di ritorno dal suo cammino senza riparo, s’accorge di due piccole voci
che corrono e ridono tra pozzanghere e strati di nebbia.

Rallenta il passo fino a fermarlo, le saluta con la mano e si siede di lato
al loro mondo senza peso.

Ora non pensa e ancora non sa che qui i giorni si misurano in millimetri di barba,
che qui se qualcuno corre è perché sta giocando.

Ora non pensa ma sta.
Impalpabile alle gocce.
Leggermente di lato a quel mondo senza peso.

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