Blue Mountain Train

Blue Mountain Train

di Stefano Casacca

C’è un punto, nel sud dell’India, scandito da una serie di curve, al bordo delle quali sorgono freschi alberi di teak ed eucalipti che proteggono come ombrelli le piantagioni di tè e caffè. A schiene curve, le donnestaccano le foglie di tè. La vaniglia abbraccia gli alberi di palissandro con tentacoli carichi di baccelli scuri e tenuemente odorosi. Càpita di incontrare scimmie e cerbiatti; o di rimanere incantati di fronte ai mazzetti multicolori della lantana. I paesi sono piccoli raggruppamenti incastonati tra due spioventi di monte. I pochi posti dove si può pernottare sono nulla più che casette invisibili tra il verde, nelle quali spicca sempre il cartello d’una MONKEY MENACE. Sì, le scimmie entrano nei cottage rubando occhiali, orologi e cibo. Il signor Kothavala dice che c’è un medico per gli sfortunati morsi dalle scimmie curiose.
Qui c’è il capolinea del Blue Mountain Train: Ooty era uno dei luoghi di villeggiatura prediletti dagli inglesi che tra il 1890 e il 1908 costruirono la ferrovia, tuttora funzionante. I binari salgono su fortissimi dislivelli: dai 186 metri sul livello del mare di Mettupalayam per giungere, attraverso sedici tunnel e diciannove ponti, ai 2250 metri d’altezza del capolinea.
Salgo sul treno alla fermata intermedia di Conoor. Il piccolo locomotore verde lancia uno sbuffo dal
comignolo quando entra nella stazione, con il suo séguito di vagoni azzurri e crema, i finestrini a
ghigliottina, le rotaie a scartamento ridottissimo simili a quelle di un tram. Il manovratore è un vecchio dal viso bello e maltrattato come il cuoio, gli occhi acquosi, un berretto di lana calato sulle sopracciglia, grigio come la barba: mentre guida mi spiega come funziona il throttle – l’acceleratore – e il freno. Una delle mie passioni è la simulazione di treni sul computer, perciò penso che ce la farei a portare questo. Sto per dirlo al conducente, che guida in piedi su un balconcino esterno; ma è lui ad anticiparmi, dicendomi ciò che non m’aspetto: che lui, in passato, ha fatto l’attore. Davvero?, chiedo. Sì, dice lui: ho fatto l’attore guidando questa linea, per il film Passaggio in India. L’hai visto? Perché sai, guidavo il treno, proprio io: forse non mi riconoscerai perché è passato tanto tempo, il film è del 1984. Abbiamo girato per mesi quella scena, e io tutte le volte a fare avanti e indietro con il mio trenino…
Ho cercato quel film ovunque. Ma in India nessuno lo vende e neppure lo conosce. Passage To India è un kolossal inglese, non un film hindi con canti e balli: non incontra il gusto popolare.
Oggi ho visto quella pellicola: il treno è proprio quello e il paesaggio pure, il tempo non è quasi trascorso.
Ma il manovratore non compare mai, neppure per qualche fotogramma. La superstar era il treno e il
nostro uomo non saprà che i suoi bei sorrisi non sono stati ripresi: l’occasione di rivedere il ‘suo’ film non l’ha avuta, e forse neppure ha importanza

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