Ho perso il conto

Ho perso il conto

di Cristina Panicali

“Invece di contare, impara a sentire il tempo” mi aveva suggerito un professore di fotografia durante un corso di camera oscura. Avvolta nel buio, alle prese con questa pratica per me magica, mi piaceva l’idea di eliminare la parte aritmetica in nome della sensazione, così dopo diversi tentativi sono riuscita ad accostare ritornelli di canzoni ai tempi di sviluppo. Non che sia mai riuscita a controllarlo, il tempo, ma questo era uno dei miei tentativi nell’educazione a non subirlo. In viaggio no. In viaggio il tempo ha una grammatica la cui unica regola è l’eccezione: le carte si mescolano, i giorni si perdono, le lingue si confondono. Come se viaggiare facesse rima con perdersi, perdere il controllo, smarrire i rigidi codici delle strutture che oggettivano la vita. Completo oblio delle coordinate del dovere mentre suonano più alte le corde del sentire.

Io e la mia compagna di viaggio ci siamo incontrate durante un’esperienza lavorativa all’Ambasciata italiana di Hanoi e abbiamo capito di avere entrambe appetito per questo tipo di turbamento respirando l’aria del Sud-Est Asiatico attraverso il filtro del clima internazionale. Un’aria piacevole, certo, ma dai profumi meticci contaminati da bolle di privilegi: un Oriente nei salotti altolocati, in parte congelato dalla ventilazione rarefatta dei suoi climatizzatori. Allora via, a condividere un percorso, a cavalcare una motocicletta diventando uno senza mai smettere di essere due fino ad essere bastone e vecchiaia al tempo stesso. Direzione Laos, paese che nelle nostre coscienze a malapena aveva una forma. Quasi un albero piegato dal vento il suo profilo sulla mappa, di colore azzurro nella cartina politica.

La partenza da Hanoi – quel groviglio di strade strette e trafficate, di incessante frenesia – è sulle note del rumore instancabile dei clacson che, con la forza dell’abitudine, si trasforma in melodia accompagnandoti come colonna sonora. Si aggiunge come base ritmica il rombo del motore a due tempi: voce del bolide di origine russa che abbiamo barattato, nel nostro immaginario, con la romantica idea di un cavallo bianco. Ci appropriamo subito della dimensione del viaggio, quell’acuirsi dei sensi che risveglia una curiosità in altri momenti sedata nelle briglie del quotidiano. Orecchie tese, narici avide, palato testardo nella sete di conoscenza e occhi sgranati a fare da imbuto per tutto quel mondo di cui non si vuole perdere una sfumatura. Poi valicare il confine via terra, dando un’accezione più reale all’idea del viaggio: un piccolo e arbitrario pezzo di terra che, magicamente, separa ed unisce usi, costumi e lingue differenti. Il rumore viene sostituito da un silenzio eloquente che trasuda grazia e spensieratezza: il Laos sembra essere vittima di un sortilegio, o forse protetto da un incantesimo, che lo trattiene fluttuante in una dimensione onirica, quasi immobile. Non ci sono “You! You!” ad additare turisti dalla pelle bianca, piuttosto sguardi meravigliati, volti di uno stupore non ancora corrotto dall’abitudine.

Siamo partite con la voglia di capire, di fare, di abbuffarci di dettagli, e ci ritroviamo ad osservare con discrezione, come nell’atto involontario del respiro. La tabella di marcia è stata declassata ad effimero pretesto e l’avidità di bruciare km ben presto sostituta dalla voglia di essere contagiati dai ritmi locali. “I vietnamiti coltivano il riso, i cambogiani guardano i vietnamiti coltivare il riso, i laotiani lo ascoltano crescere” sintetizza un proverbio che fotografa il Sud Est Asiatico. In un paese così, l’ossessionante avidità verso tutto lo scibile stride: si impara a non contare i km, i traguardi, le ore, i giorni. Meravigliosa impotenza di fronte ad un incantesimo. Basta entrare in punta di piedi e il ticchettio del tempo non grida nelle orecchie di Capitan Uncino. Viaggiando lo si impara ad amare, il tempo, perché diventa un’entità che passando non si consuma ma si guadagna.

Seguendo un percorso inventato siamo arrivate in un paesino tra le montagne che assomiglierebbe ad un presepe se non ci fosse un matrimonio in corso e tutti gli abitanti ebbri di cin cin al sapore di grappa di riso locale. Cercavamo acque termali e siamo finite tra un gruppo di ubriaconi. Ci invitano ad unirci e anche noi siamo travolte da brindisi, sorrisi e canzoni. Il banchetto è a base di làap, il piatto tipico locale, che a parte la menta presente in massiccia quantità non lascia indovinare se la sostanza che ingoio, fingendo un’eccitazione del palato, sia carne, pesce, o cos’altro. Chiedono una canzone anche a noi e l’unica che sembra adeguata è Oh bella ciao… magari le note partigiane risuonano al di là della dimensione verbale! L’intuizione è buona: chiedono il bis, accompagnano il ritmo battendo i pugni sul tavolo. Segue il mio repertorio di mimi, un talento sviluppato in questo viaggio dove le parole non sono funzionali al dialogo: linguacce, facce buffe, un po’ di nascondino e qualche passo imparato durante un solido innamoramento nei confronti di Charlie Chaplin.

Si danza, si canta, certo la comunicazione è ardua: quale può essere il codice comune se fino ad ora, oltre alle semplici frasi di convenienza, abbiamo imparato solo i numeri per sopravvivere nell’arte del contratto all’interno dei mercati? Ma certo: i numeri! Il gioco diventa una perfetta merce di scambio “Uno, nong, due, sòung, tre, sàam, quattro, sii, cinque, hàa…”, loro contano in italiano e noi in laotiano. Mentre circondano il fuoco acceso per riscaldare la sera, i corpi prendono le sembianze di silhouette, piccole ombre nella notte, che gridano parole il cui suono solletica le loro risa. Stiamo trattenendo l’attenzione di una ventina di bambini che cantano numeri saltellando per tutto il villaggio. Ridono: “uno, due, tre…” esibendo pronunce perfette mentre gli adulti li guardano sbronzi ed ammirati. Entrare nel cuore dei bambini assicura una porta d’accesso privilegiata negli animi degli adulti.

Nel paradiso dove la spontaneità regna sovrana e il calcolo è tabù è proprio la matematica a venirci incontro. E io che, viaggiando, credevo di aver perso il conto…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.