Il bagno turco e il nomade – 1° Classificato 2003

Il bagno turco e il nomade – 1° Classificato 2003

di Lara Floriani

Sono 4 dollari per l’entrata e 10 per il massaggio, se lo vuole.-
Sì, lo voglio.-

Pagai i miei quattordici dollari e mi ritrovai a seguire un’inserviente all’interno di quello che dedussi fosse lo spogliatoio delle donne. Era una donna robusta, sulla quarantina. Mi scortò fino ad un armadietto libero, mi diede una chiave, un telo di cotone ruvido rosso, e due zoccoli di legno dalla punta quadrata.

Quando sei pronta, entra lì, – mi disse, in un inglese anche più scarso di quello della cassiera, additando un’apertura sormontata da un arco di marmo un po’ sbeccato, in fondo a un corridoio.
Non ero mai stata prima ad un bagno turco. E avevo scelto quello, in particolare, solo perchè era stato costruito da Sinan, il Brunelleschi di Istanbul, che aveva eretto per Solimano il Magnifico le più belle moschee.

Non sapendo bene che fare, decisi di copiare le due americane mie vicine d’armadietto. Mi spogliai velocemente, calzai gli zoccoli, e mi avvolsi nel telo. Poi mi diressi risoluta verso la porta.
Varcata la soglia, mi ritrovai in un immenso stanzone ottagonale, completamente bianco. Bianche erano le pareti, ricoperte fino a mezza altezza di lastre di marmo, bianca era la cupola, simile a quella di una moschea, e bianco era, al centro della sala, un vasto ottagono, rialzato dal pavimento quanto le mie ginocchia, pure ricoperto di lastre di marmo.

Notai l’armonia geometrica dei due ottagoni inseriti uno nell’altro, e mi guardai intorno. Ogni parete dell’ottagono esterno era suddivisa in nicchie, in ognuna delle quali spiccava una piccola fontana. Era qui che le donne si recavano per rinfrescarsi se il caldo si faceva insopportabile, e qui che le massaggiatrici le portavano per il rituale lavaggio dei capelli sotto l’acqua corrente (lessi più tardi che la religione musulmana proibisce l’uso dell’acqua ferma, e quindi del bagno all’europea).

Le turiste sdraiate sull’ottagono di marmo si erano sfilate il telo e vi si erano distese sopra. Feci lo stesso.
Allungai le gambe, sfiorai la superficie liscia su cui si erano lasciate andare le mie braccia, e assaporai la strana sensazione del marmo tiepido. Sotto questo ottagono marmoreo, ora costellato dai corpi delle ospiti, ardeva il fuoco invisibile che teneva elevata la temperatura del bagno turco.

La guida diceva che la pelle era pronta per il massaggio solo dopo aver sudato una ventina di minuti. Così chiusi gli occhi. Quando li riaprii, notai un particolare che prima mi era sfuggito. La cupola bianca che mi sovrastava era tutta costellata di piccole aperture tondeggianti, da cui entrava la luce del sole. Diamanti, fu la prima analogia che mi venne a mente. Ma una seconda presto prese il suo posto. Stelle. Quella volta bianca era come un cielo trapunto di stelle.

Immaginai i Turchi nelle steppe dell’Asia centrale, prima che diventassero sedentari, prima che, come il soldato longobardo che cade combattendo per Ravenna in un racconto di Borges, fossero abbagliati dai marmi di Costantinopoli. Li immaginai muoversi in piccoli gruppi, a cavallo, coi capelli legati indietro a sottolinearne gli occhi allungati e i lineamenti asiatici. Li immaginai poveri, ma liberi. E li immaginai che si addormentavano nelle steppe con gli occhi volti al cielo, e che pensavano al cielo come al tetto della loro casa, vasta come la terra che percorrevano i loro cavalli.

Solo allora capii il perché della sacralità del bagno turco, che la mia guida non aveva spiegato. Quando avevano ceduto al marmo, i Turchi non avevano dimenticato la felicità delle steppe. Così se ne erano costruiti un ricordo nei loro edifici. Il tetto del bagno turco sostituì il tetto di stelle sotto cui i guerrieri delle steppe avevano cullato i loro sogni.

Sdraiata sul marmo bianco e caldo del bagno di Sinan, chiusi gli occhi di nuovo, e mi parve che le stelle si fossero mosse, come in un cielo vero, quando cala la notte.

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