Il mio Saree – 3° Classificato 2002
di MIlena Coccia
Siamo sole finalmente. La guardo. Mi sorride schiva, forse la imbarazzo. Si muove nel suo Saree con una femminilità che, seppur cerco di imitare, non mi appartiene. Indosso uno dei suoi, me lo ha prestato con grande generosità e divertita curiosità.
Ho i fiori freschi sui capelli e oggi al mercato ne ho comprati dei nuovi, che la vecchina mi ha riposto con cura in una grossa foglia legata con uno spago… mentre guardavo le sue dita piccole e scure, così veloci nell’arrotolare boccioli bianchi in una lunga specie di collana, lei mi sorrideva e pur non parlando la mia lingua, mi faceva capire la sua approvazione nel vedermi, occidentale, indossare con rispetto il loro abito tradizionale, pudico come noi non concepiamo ma altrettanto sensuale come noi non percepiamo.
Mentre Cithna riordina i giocattoli di sua figlia, che ora è in giardino con i servi, io mi muovo un po’ per la piccola casa, scalza, i miei due anellini d’argento alle dita dei piedi…. sento la moquette verde tutta scolorita che si abbassa polverosamente sotto il mio peso.
Ho fatto degli enormi progressi da quando sono arrivata in questo paese con le mie Nike e i candidi calzetti di spugna. Se vuoi conoscere l’India devi avanzare su di lei con i piedi nella polvere, protetti solo da un infradito di cuoio, la sera devi poter capire se hai camminato per le strade di Nuova Dheli o di Agra o di Goa: il colore della terra che ti porti dietro te lo ricorderà.
E’ stata una conquista trovare il coraggio di denudare i piedi come fanno tutti…. ero nel palazzo reale di Mysore, c’erano troppi marmi e tappeti e lastricati e sterrati per non poter vivere il palazzo coi piedi.
Piedi timidi e morbidi, rigidi perché timorosi e impauriti da una mancata abitudine a sporcarsi e addentrarsi nel mondo delle sensazioni tattili. I miei piedi. Per la prima volta hanno davvero viaggiato con me.
Ascolto il fruscio dei cinque metri di seta che mi avvolgono dolcemente, guardo la foto dei genitori di Sujit che incute quasi timore, mi diverte vedere l’accozzaglia di colori e fantasie e stoffe e cuscini che costituisce l’arredamento del salotto-sala da pranzo.
Aspetto di capire se vorrà parlarmi, se la confidenza con una occidentale è possibile, se in qualche modo rischio di ferire la sua sensibilità o violare la sua intimità.
Sul tavolo c’è del cocco secco, ne hanno tenuto un po’ per me che sono l’unica a mangiarlo così, qui ne fanno delle salse piccanti per la colazione, che hanno già massacrato il mio fegato abituato al ciambellone della mamma. Ma svegliarsi e andare fuori a cercare quel servo magro magro, scalzo e con una specie di turbante in testa, per chiedergli se mi apre una noce di cocco per berne il latte, è un’esperienza meravigliosa.
Non possiamo comunicare verbalmente, ma so che appena mi vede nel suo raggio d’azione è incuriosito da questa donnona bianca di un metro e ottanta, dai lunghi capelli ricci, il naso pronunciato, la pelle chiara e le lentiggini. Con quella specie di falce taglientissima e pochi colpi ben assestati, trasforma la verde noce di cocco in uno splendido bicchiere da drink con ombrellino… lo prendo dalle sue mani rispettose e timorose più di quanto dovrebbero, facendomi sentire non aiutata, ma servita.
Bevo per dare sollievo ad una gola seccata dall’umidità notturna sub-tropicale e quel succo che scola dagli angoli della bocca, disegnando forme scure sulla polverosa terra rossa, mi fa tornare un po’ bambina o semplicemente un po’ più vera.
Cithna mi passa davanti, va verso la stanza da letto, le sorrido per prima, stavolta. Nella vetrinetta piena di chincaglierie che sto distrattamente guardando, vedo una sua foto in un Saree verde e rosso. Ne approfitto, finalmente mi decido : – Chitna? E’ bella la foto col Saree verde e rosso!- – Quello è il Saree tipico che si indossa nel giorno del matrimonio-
Chitna è una bella ragazza di ventisei anni, solo uno più di me. E’ più alta della media femminile indiana, ha un bel sorriso e occhi grandi, la corporatura è quella di una donna sana e una mamma prospera. Credo sia proprio una bella donna nell’immaginario dell’uomo indiano. Laurea in biologia e master in Inghilterra.
Ma quando mangiamo, lei ci serve nei grandi piatti di acciaio poggiati sulle ginocchia, poi va a mangiare per terra, in cucina. La prima volta che l’ho vista ne sono rimasta sconvolta. Ho chiesto alla mia amica Anita e lei, candidamente, mi ha spiegato che è una tradizione…
La tradizione. Per me la tradizione è qualcosa a cui penso con nostalgia, la tradizione è inusuale, interessante, curiosa. E’ cultura e insieme anti-cultura perché la tradizione spesso non ha spiegazioni, è tradizione e questo basta. Ma… stavolta non mi basta per capire ed accettare Cithna seduta per terra, spalle alla porta, nel cucinotto, mentre suo marito, sua figlia, i suoi cognati e un’ ospite italiana mangiano in salotto.
-Quando vi siete sposati?- -Due anni fa- -E quanto tempo eravate stati insieme?-
Non ho ancora finito di pronunciarla ma già mi pento. So bene che i matrimoni sono combinati in India. Cithna sorride di fronte alla mia ingenua gaffe: -Le donne indiane non frequentano i propri mariti, sono i miei genitori che hanno visto Sujit per me. Io l’ho visto per la prima volta il giorno della festa di fidanzamento-
Non paga della prima mancanza di tatto, persevero: – E poi, quando vi siete rivisti di nuovo?- -Il giorno del nostro matrimonio- Devo aver fatto una faccia proprio strana, maledizione. Perché Cithna abbassa gli occhi e sorride un po’ malinconica. Sono mortificata per l’assoluta mancanza di tatto e di controllo delle mie emozioni…. ma si è sposata con un uomo che aveva visto solo due volte….
Ora siamo sedute sul suo letto, le gambe incrociate. Sarà un caso, ma stiamo entrambe giocherellando con le dita dei piedi. E’ sorprendente come cambi il senso del pudore e del “naturale” da una parte all’altra del mondo. Sento che si fida. Forse con il mio imbranato ma sincero approccio, sono riuscita a mettermi in comunicazione con lei, al di là della “Tradizione”. D’altronde siamo coetanee, eppure così lontane…
– Ma non avevi paura di come fosse Sujit? Intendo dire.. – Questa volta mi risparmia un’ ennesima brutta figura. Mi interrompe: – Vedi, in India i genitori scelgono il marito o la moglie dei propri figli in base alle loro caratteristiche. Loro vogliono solo il nostro bene, quindi noi sappiamo che sceglieranno per il nostro bene…-
Vedere le sue lunghe mani, morbide e sinuose in opposizione a quelle della vecchina al mercato, che mi parlano insieme alle sue parole, mi porta quasi in un’altra dimensione; la guardo, la ascolto, la seguo nel suo mondo, o almeno mi sforzo di farlo, guidata da quelle dita che aprono porte nuove nell’aria come se fossero nella mia mente. Mi immagino Chitna a Londra con i suoi compagni di corso. Immagino un bel ragazzo che le sorride e lei che ricambia.. e se fosse nato l’amore? Me la immagino nei pub o nelle sale da tè che vede coppie di ragazzi che parlano, ridono, si scambiano dolcezze ed effusioni oppure litigano per le strade e si mandano a quel paese, ma si conoscono.
Si scelgono. Come ci si può sentire così lontane da questa realtà, come ci si può fidare così e obbedire ciecamente… Non è giusto. Come potrei rinunciare alla mia vita, alla mia carriera di ingegnere, alla mia libertà di viaggiare da sola, di conoscere e avere uomini, di innamorarmi o soltanto infatuarmi. Come potrei pensarmi costretta a condividere, da un giorno all’altro, la mia vita con un uomo che non ho mai visto solo perché i miei genitori pensano che vada bene per me e perché apparteniamo alla stessa casta. E’ ingiusto, è terribile. Non capisco, non mi arrenderei, non lo accetterei, non mi piegherei. -E se poi ti accorgi di non amarlo?- Quel turbinio di pensieri che ho dentro me la fanno interrompere con avida e irruente curiosità. Sorride Chitna. Mi sorride materna e accogliente. Mi capisce, lei. Poi risponde con un filo di voce: – Le donne indiane sanno aggiustare tutto-.
Mi sento gelare. Le donne indiane. Le donne indiane. Quel turbinio di pensieri europei si ferma e scivola giù dalle pareti della mia anima tutto d’un colpo. Mi sento sciocca ma non umiliata, perché lo sguardo comprensivo di Chitna mi rincuora. Sto parlando con una donna indiana. Posso indossare il Saree e fiori freschi, camminare scalza, mangiare con le mani e bere il latte di cocco, ma non potrò mai capire una donna indiana. Non posso capire e non c’è bisogno che io capisca. Devo solo rispettare.