Il Viaggio

Il Viaggio

di Anna Castiello

Sfogliava un vecchio album ingiallito.
«Mamma, mamma» la chiamava a gran voce sua figlia, dalla cucina.
Eva quasi non recepiva i reclami della bambina.
Lo scricchiolio del parquet non bastò a riportarla al presente.
Eva sentiva il magma di pensieri incedere lento, le vibrava nell'animo inquieto.
L'esplosione era stata lenta.
Un fluire denso, costante, senza lapilli e ceneri sparse.
Riaprire la valigia dei ricordi non è mai un passatempo.
«Mammina» la chiamava sua figlia ed Eva, stavolta, riprese contatto con la realtà.
«Ines, vieni, ti porto in un posto!» le promise.
«Che bello, possiamo uscire?»
Gli occhi si ingolfarono con lacrime amare, che la costrinsero a nascondere il viso contratto.
Eva risalì la scala a chiocciola, portando Ines sulle spalle.
La bambina non aveva accesso al suo studio. Era una stanza tutta per sé. Scriveva, sviluppava i negativi
– come aveva fatto suo padre – nel ripostiglio adibito a camera oscura. Ma, al di sopra di tutto, era il
riparo dalle eruzioni violente del suo carattere.
Prese l'album che aveva abbandonato sul tappeto e condusse Ines nel suo viaggio interiore.
Ogni scatto celava un aneddoto. Ogni foto nascondeva una storia più lunga che non entrava, intera,
negli istanti di un click.
E allora, usava le parole.
«Bari ti fa sentire a casa» cominciò a raccontare.
«I vicoli della città profumano di pranzi domenicali, di sapone di marsiglia e orecchiette lavorate a
mano.»
Ogni didascalia ricalcava emozioni e scoperte.
«E questa?» Indicò Ines, con l'indice sinistro. Era mancina, come la madre.
«Positano è un tripudio di colori. Una piramide di case a ridosso del pendio, le stradine strette con
infinite prospettive di mare, di nuvole, di pendici.»
Mamma e figlia trascorsero il pomeriggio sfogliando i diari di viaggio di Eva. Ines era affascinata, le
piacevano quelle foto cariche di colori vividi, sempre caldi, accesi.
«Viaggiare è conoscere se stessi, Ines. Sapere dove si poseranno gli occhi, da cosa sarà attratta la vista.
E quali suoni ricorderai meglio di altri, quali odori andrai a rincorrere dopo.»
«Quando possiamo andare a fare un viaggio insieme, mamma?»
«Stiamo già viaggiando insieme!» Le confidò Eva con un sorriso sincero, abbracciandola stretta.
Di notte, con la città che dormiva e le luci spente da un po', Eva aprì il suo diario di viaggio.
Con la sua bic scrisse:
Ho camminato tra la gente senza mantenere le distanze.
Ho viaggiato nella notte quando non si aveva paura del buio.
Ho dormito in letti scomodi, e talvolta non ho dormito affatto.
Ho viaggiato per non stare ferma, per superare i confini dell'ignoto.
Perché gli occhi hanno bisogno di guardare nuovi posti, i piedi di toccare nuove terre, le bocche di imparare nuove lingue.
Perché ho bisogno di inebriarmi di odori estranei.
E di ascoltare storie che poi la mia penna vuole raccontare.
È tutto scritto: tutte le emozioni di un viaggio sono qui a tenermi compagnia, ora che abbiamo messo in stand-by la vita.
Lontano dai rumori dei clacson, lontano dalle corse contro il tempo, lontano dal vociare continuo e incessante della gente.
Cala il sipario, i riflettori si spengono.
Rimane la mia voce a occupare lo spazio dei pensieri, le ore senza sonno.
Mi reinvento, mi riadatto, mi plasmo a immagine e somiglianza dell'imprevedibilità degli eventi.
Cammino verso l'ignoto che è diventata questa vita.
E l'unico modo per viaggiare ancora è guardarmi dentro.
Scavo negli angoli nascosti.
Cerco sensazioni sopite.

È un itinerario impervio, insidioso..
E ho solo un mezzo per attraversare questo tunnel: la mente.
Resto a casa, sì, ma continuo a viaggiare.

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